La Sicilia, il Nero d’Avola e l'assurda speculazione che danneggia il lavoro dei viticoltori.
Ieri sono tornata dagli Stati Uniti, dove ho trascorso le ultime due settimane viaggiando tra la California e il Colorado, l’Arizona e il Sud del Texas.
E molti dei nuovi clienti che ho visitato (ristoratori, wine bar o enotecari) di fronte alle mie bottiglie inizialmente commentavano: non credo che il Nero d’Avola sia un vino di qualità. Poi, non appena assaggiato il vino, ecco comparire un’ombra di sorpresa sui loro volti: non credevo che fosse così buono!
Appunto.
Molti dei Nero d’Avola che si trovano negli Stati Uniti (e negli altri mercati esteri) non sono buoni.
Troppe etichette sono soltanto etichette. Troppe bottiglie che si trovano sugli scaffali ben al di sotto dei fatidici 9.99 dollari sono solo vino sfuso, acquistato da grossi imbottigliatori presso altrettanto grosse cantine che producono vino di massa, con una bella (e spesso nemmeno tanto bella) etichetta appiccicata sopra. Soldi facili, che stanno distruggendo l’immagine e la reputazione di uno splendido vino che molti viticultori siciliani da anni si impegnano a promuovere, con umiltà e sacrificio, in tutto il mondo.
Oggi, per ulteriore conferma, ricevo da un importatore norvegese una mail che mi chiede se siamo rappresentati. Non lo siamo. Invio il listino prezzi, e in risposta ricevo un messaggio ironico che si conclude con la solita faccina sorridente: guardi che se vuole un importatore il vino me lo deve dare massimo a 2,10 euro, trasporto fino in Norvegia, provvigioni e sdoganamento inclusi. Il che significa vendere franco cantina a non più di 1,40-1,50. A questo prezzo non ci compro nemmeno il packaging, figuriamoci se dentro la bottiglia ci posso mettere del vino.
Il Nero d’Avola ha vissuto anni di boom alla fine degli anni ’90. Quando le principali guide e riviste hanno “scoperto” questo vitigno, non c’erano bottiglie che bastassero in cantina, i clienti lo volevano, a qualunque prezzo.
Molti nuovi produttori sono entrati nel gioco: alcuni (anch’io tra questi) perché, con una tradizione familiare alle spalle, avrebbero comunque fatto questa scelta, per passione o per normale evoluzione del business, dall’essere viticultori conferenti all’essere imprenditori in proprio. Altri, invece, ci sono entrati per pura speculazione e, con essi, sono entrati nel business grossi gruppi industriali (spesso solo imbottigliatori, spesso con sede legale e stabilimenti fuori dalla Sicilia) che hanno iniziato ad acquistare lo sfuso al minor prezzo possibile, cavalcando la tigre.
La qualità si è abbassata, i prezzi sono crollati: c’è troppo vino siciliano sul mercato, e purtroppo molto di questo vino è cattivo. I produttori veri, quelli che oltre ad avere un’etichetta su una bottiglia hanno anche le vigne e la cantina, sono molti meno di quelli dichiarati nelle statistiche ufficiali, o che si possono trovare su Google.
La verità è che, al di là dei proclami e dei tentativi (spesso tardivi e poco efficaci) di migliorare l’immagine del brand Sicilia, il vino siciliano soffre. E il Nero d’Avola soffre ancora più degli altri vitigni. Chi, come me, si trova a contattare ogni giorno agenti sul territorio nazionale si sente dire, ogni due per tre, che il Nero d’Avola non lo vuole più nessuno. E, a meno che tu non sia un’azienda grande e affermata, che può spendere decine di migliaia di euro ogni anno in pubblicità, la ricerca si conclude spesso con un nulla di fatto.
Come se ne esce?
E’ facile dire con la qualità e con l’impegno. Non c’è futuro per nessuno senza qualità e senza rispetto per la tradizione e il terroir, ma uscire da un circolo vizioso che si è generato solo per bruta speculazione è terribilmente difficile.
Perché oggi, i viticultori e gli enologi siciliani che ogni giorno lavoriamo duramente, alla ricerca della migliore qualità possibile al miglior prezzo possibile, dobbiamo far i conti con speculatori senza scrupoli, che negli anni hanno consolidato importanti quote di mercato, contemporaneamente distruggendo l’immagine, quindi l’appetibilità, dei nostri vini. Nel frattempo, siamo costretti a ridurre i nostri margini, già risicatissimi, per avere la possibilità di competere con loro, e a girare il mondo in continuazione, per cercare, dall’altro lato del banco degustazione, qualcuno che comprenda la qualità, e che se ne curi.
Molto meglio sarebbe crescere con giudizio, lavorando sempre per la massima qualità, costruendo e proteggendo la buona reputazione, offrendo solo vini che rappresentino la migliore espressione della Sicilia.
Tags: marketing del vino, Nero d'Avola, vitigni siciliani, vino siciliano