Mappa dei vini DOC in Sicilia
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Le Denominazioni di Origine Controllata in Italia: cosa significano, a cosa servono, e soprattutto perché e quando sono utili nella degustazione e comprensione dei vini che provengono da territori differenti.

Le DOC - Denominazioni di Origine Controllata - sono marchi collettivi di tutela dei vini prodotti in aree delimitate del territorio italiano. Ciascun marchio - la cui applicazione è rigidamente disciplinata da un regolamento approvato con decreto ministeriale:

  • identifica l'origine territoriale delle uve utilizzate per la produzione,
  • ne prescrive i limiti produttivi (rese per ettaro, rese uva-vino),
  • individua le pratiche enologiche applicabili (elaborazione, affinamento, confezionamento),
  • descrive le caratteristiche tecnologiche ed organolettiche dei vini ai quali le aziende intendono attribuire il marchio DOC,
  • tutela i prodotti ottenuti da contraffazioni ed abusi.

Tali denominazioni svolgono un ruolo molto importante anche a livello di comunicazione perché trasferiscono al consumatore informazioni utili a capire il legame fra il vino che sta bevendo e le caratteristiche del territorio di produzione. In altre parole, le DOC sono il primo fondamentale strumento per l'individuazione e la comprensione del terroir.

Le Denominazioni di Origine dei vini hanno dunque un senso solo se fortemente legate al territorio di provenienza delle uve e dei vini, che deve avere almeno tre caratteristiche fondamentali:

  1. deve essere omogeneo: cioè deve manifestare aspetti pedoclimatici affini che non risentano in maniera determinante delle normali variabilità dovute - per esempio - ad altimetria, composizione dei suoli, influenza di una particolare orografia locale (per rilevare tali peculiarità esiste, infatti, la possibilità di definire delle sottozone);
  2. deve esprimere caratteristiche riconoscibili: ossia i vini prodotti all’interno di quel territorio omogeneo devono riflettere in maniera inequivocabile l’influenza degli elementi naturali che caratterizzano il territorio stesso (se c’è mare che si senta la salinità, se siamo in montagna che sia evidente l’influenza dell’altitudine, e così via);
  3. deve garantire una qualità incontestabile: significa che le produzioni delle uve e dei vini devono essere regolamentate (leggi anche: limitate) in maniera da garantire la massima tipicità e la massima espressività dei vini stessi in relazione al territorio di origine.

Tuttavia, le scelte che molti produttori e Consorzi fanno al momento di adottare una Denominazione di Origine non sempre rispettano queste condizioni. E' questo il caso delle DOC molto grandi, i cui confini racchiudono aree dalle caratteristiche non omogenee e spesso diluiscono, anziché rafforzare, il legame fra i vini e il territorio di produzione.

Prendiamo il caso della DOC Sicilia, che autorizza la produzione di vini con uve che possono essere raccolte su tutto il territorio regionale e poi mescolate fra di loro (sia in forma di uva fresca che di mosto o di vino finito) senza considerare le caratteristiche specifiche degli areali produttivi, né l'altimetria, né l'origine geologica dei suoli e così via.

La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo, estesa 25.711 km²: con i suoi oltre 106.000 ettari, è anche la regione più vitata d’Italia (updated - Fonte: I numeri del Vino, Agosto 2018).
Un territorio così vasto offre una enorme varietà di condizioni geografiche e pedoclimatiche che caratterizzano e condizionano le produzioni vinicole: si va dai più alti vigneti dell’Etna, dei Nebrodi e delle Madonie, piantati intorno a 1.000 metri di quota, a quelli di Lipari, di Marsala o di Menfi, piantati a livello del mare. L'andamento delle temperature, la piovosità, la stessa geologia dei suoli in un’area così enorme sono incredibilmente differenti. I vini prodotti ad Est e ad Ovest della Sicilia sono diversi, e non è solo questione di vitigni: le stesse piante si adattano diversamente a condizioni territoriali non omogenee e danno uve che nemmeno si somigliano fra loro.

La distanza fra Trapani e Noto è, in linea d’aria, 260 Km – la stessa che c’è fra Barolo e la Valpolicella, oppure fra la Valtellina e il Collio friulano. Le condizioni di produzione, la composizione dei terreni, la stessa evoluzione storica della viticoltura tra una costa e l’altra della Sicilia sono straordinariamente differenti. Fra un Nero d’Avola prodotto a Trapani e uno prodotto a Siracusa c’è esattamente la stessa differenza che corre fra uno Chardonnay piemontese e uno veneto, o fra l’Aglianico del Vulture e il Taurasi di Avellino.

Il problema principale generato da una Denominazione così ampia, secondo me, è che nessuno, leggendo sull'etichetta - ad esempio - Nero d'Avola DOC Sicilia, sa esattamente dove siano state raccolte le uve, se a Marsala o a Canicattì o a Zafferana Etnea o in provincia di Messina, se al mare o in montagna o in una assolata pianura dell'interno, e nemmeno sa se le uve che hanno dato vita a quel vino siano state raccolte tutte nello stesso posto, oppure provengano da zone differenti della Sicilia. Quindi non potrà comprendere se le caratteristiche di quel vino derivino dal legame con il territorio di produzione oppure dallo "stile" aziendale, se siano tipiche di quel vitigno o se derivino dall'adattamento di chissà quanti vigneti a chissà quanti territori di produzione. In sintesi, leggere Nero d'Avola DOC Sicilia, in quel caso, non ha trasmesso nulla del terroir, e quindi dell'origine: né al vino, né tantomeno al suo consumatore

Per fortuna, in Sicilia non esiste solo la DOC Sicilia: esistono altre 23 piccole DOC che delimitano aree più omogenee dal punto di vista pedoclimatico; sono denominazioni poco o nulla conosciute dalla maggior parte dei consumatori e spesso poco o nulla utilizzate dai produttori, ma rappresentano il vero punto di partenza per poter parlare di territorio in una regione così vasta.

Quando nel 2004 abbiamo fatto la prima vendemmia nella nuova cantina, la nostra prima scelta importante è stata l’adozione della DOC Menfi per alcuni vini. Subito La Vota e Azimut, a seguire tutti gli altri. Una scelta importante e ragionata, basata sulla nostra (e dico nostra perché anche mio padre l’ha condivisa fin da subito) idea di terroir, su una certa intransigenza produttiva e sulla incrollabile fiducia nelle potenzialità – qualitative, espressive e identitarie – dei nostri vini.

Certo, lavorare con una denominazione così piccola e soprattutto totalmente sconosciuta mi ha causato non pochi problemi, almeno per i primi dieci anni. Hai voglia a dire dov’è Menfi, un puntino sperduto sulla carta geografica dell’isola più grande del Mediterraneo, e soprattutto a spiegare perché Menfi è diversa da Noto o da Trapani, da Valledolmo o da Caltanissetta. Ho ingoiato non poche alzate di sopracciglio e risatine, anche da produttori ben più grandi e ben più famosi di me.
Però questa scelta negli anni ha pagato, e paga soprattutto adesso che hanno fatto la denominazione grande.

Una denominazione che è nata già con un sacco di compromessi (di cui ho già parlato qui qualche anno fa), e che dalle prossime vendemmie ne farà anche di peggiori con l’aumento delle rese fino a 140 quintali per ettaro (fatti salvi, ovviamente, eventuali superi di campagna) per Grillo e Nero d’Avola.

Per tutti questi motivi, dalla vendemmia 2016 ho deciso di non utilizzare più la DOC Sicilia, ma esclusivamente la DOC Menfi per tutti i vini, ove possibile. Ove non possibile (ad esempio Ammàno che è nato e morirà vino da tavola, oppure nel caso in cui alcuni vini non dovessero risultare certificabili in seguito alle analisi o alle degustazioni obbligatorie) sarò orgogliosa di scrivere sulle mie etichette, semplicemente, VINO.

Tags: Menfi DOC, vino siciliano, Sicilia DOC, disciplinare DOC Sicilia, comunicazione del vino, geografia della Sicilia

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