Piana del Pozzo 2011
Pin It

Sperimentando con lo Chardonnay di Menfi in Sicilia, e scoprendo cose che non immagineresti mai.

Antefatto: nel 2010 ho usato per la prima volta i lieviti indigeni.

Siccome mia madre santificava che era solo una botta di c...ehm…fortuna che continuassero a venire buoni tutte le volte, l'anno successivo le ho promesso che ne avrei congelati un po’ nel caso in cui in seguito avessimo avuto dei problemi con le fermentazioni spontanee.
[Precisazione: non ci credevo mica che scongelandoli si sarebbero riattivati, ma era per farla stare tranquilla]

Quindi ho preso la feccia fine, l’ho messa in una bottiglia di plastica e l’ho infilata in freezer, dimenticandomela lì per tre anni buoni. Dimenticata totalmente, anche perché nel frattempo le fermentazioni spontanee sono andate benissimo per tutti gli anni appresso, e mia madre si è – finalmente – convinta che non dovevamo più comprare i pacchettini di lieviti da mezzo chilo.
Pacchettini che abbiamo per la verità acquistato nei due anni successivi, mezzo chilo per anno “just in case”, ma che sono rimasti sigillati per due anni e abbiamo poi utilizzato a fine vendemmia 2013 per fare la pizza. Pizza che, per inciso, è venuta buonissima.

Dicevamo: nel 2011 ho congelato quella feccia di Chardonnay e me la sono dimenticata.
A settembre dell’anno scorso dovevamo sbrinare il congelatore perché era pieno zeppo di ghiaccio ed è venuta fuori quella bottiglia scordata.
Dramma! E ora?

Mariarita diceva “Buttiamola! ché se la dottoressa (si, mi chiama dottoressa) se ne accorge che l’abbiamo scongelata…”
Mia madre ha detto “Teniamola! Che se Lulù (si, mi chiama Lulù) se ne accorge che l’abbiamo buttata…”

Insomma, l’hanno tenuta.
Quando me l’hanno mostrata ho detto “Apperò! E dopo tre anni cosa ci sarà rimasto dentro a una bottiglia di plastica tenuta in congelatore?”

Ho tenuto la bottiglia per un po’ in frigo, e ho visto che la feccia si era praticamente consumata, riducendosi a un centimetro di polvere sul fondo, e che il vino si era separato perfettamente, restando limpido nella parte superiore della bottiglia. L’ho aperta a fine settembre 2014, e ne ho bevuto un bicchiere ogni paio di settimane per i successivi quattro mesi. Tenuta sempre nella stessa plastica, scolmata settimana dopo settimana, ritappata con il suo tappino di plastica e tenuta sempre in frigo.

Oggi, questo bicchiere è una delle migliori bevute che io ricordi dei miei vini.
Davvero. Se non fosse così, non ve l’avrei detto.

Cosa ho imparato, e cosa vorrei dirvi alla fine di tutto:

  1. La feccia è la mia migliore amica. Se troverete dei depositi nelle mie bottiglie, vuol dire che voglio bene al mio vino, e un po' anche a voi che lo berrete.
  2. Se troverete che il vino sia opaco ringraziate prima la vite che ha fatto un’uva così ricca da poter sopravvivere nel tempo a contatto con le sue fecce, poi me che ho avuto il coraggio di rischiare le critiche di quelli che si lamentano che è opaco – e sì, sono tanti.
  3. Non finite MAI una bottiglia buona lo stesso giorno che l'avete aperta: potrebbe migliorare, e di molto molto molto, dopo mesi che è stata aperta: provatene un bicchiere ogni tanto e finitela SOLO quando sentirete che il vino è arrivato al capolinea. Abbiate coraggio: ci sono vini che possono dare il meglio di sé anche dopo molto molto molto tempo.

Morale: i pregiudizi sono il MALE.
L’unico vero nemico (che io conosca) del vino buono è il caldo, ma il vino può essere buonissimo anche se è stato maltrattato.
Anzi: se è stato maltrattato ma ha stoffa, stoffa da vendere, vince lui.
Sempre. 

 

Tags: lieviti indigeni, fermentazione spontanea, vino naturale, vinificazione, Piana del Pozzo, chardonnay

Questo sito utilizza i cookies, anche di terze parti, per offrirti il miglior servizio possibile in base alle tue preferenze.
Nell’informativa estesa puoi prendere visione della nostra privacy policy e conoscere come disabilitare l’uso dei cookies; proseguendo nella navigazione accetti l’uso dei cookies.